Ri-tratti

Non so le parole, non so il come di dove cominci quello sconfinarsi nel riquadro del mirino; il margine, ben netto, rimane pur sempre intatto, trentasei centimetri-quadri, nel visore. Dodici scatti, tre volte, quattro, massimo cinque. Ogni scatto la visione va “a nero” sino a quando la presenza speculare, rovesciata dallo specchio si dilata e d’improvviso è tutta fuori dal margine di quanto “si vede” e assieme racchiusa in una intenzione. E assieme si guarda e assieme si attraversa la zona dell’aria sospesa tra quello sguardo e quello che lo guarda. Qui, e a differenza dello specchio della pupilla che avvolge e restituisce a chi guarda il suo sguardo riflesso, il mio soggetto per vedersi deve guardare dentro di sé, già che i miei occhi sono ora celati dietro alla nera camera della macchina. 
È un instante. Passa e rimane e si è già visto troppo.