Cumfinis

C’è la dimensione orizzontale dei confini geografici e la trasparenza incorporea dell’aria che dalla verticale del cielo interseca il cerchio del mare. Si dilata allora lo spazio tra quell’altezza e ogni cosa sottostante: il cotone di nuvole galleggianti alla deriva del cielo, il ghiaccio intarsio che affila le vette come lame e sprofonda in sconfinati anfiteatri poi, subito liquido, corre sulle rocce e rompe il silenzio nei boschi scavando la pietra in fondo alle valli. Azzurri serpenti, sulla carta geografica i fiumi si snodano muti. Ma qual è la rifrazione dell’acqua, quale il frastuono che lustra i sassi sul greto? 
Quale la girazione che nel respiro delle onde rimuove il tornio del mare e forgia a ogni roccia una pietra rotonda? Confini contigui che trasformano la morfologia continua delle cose in un’osmosi dell’una nell’altra. Qual è allora il confine-primo da cui ora lo sguardo si slancia fuori da questo corpo dove il cuore batte sino in punta alle unghie? Dove, il confine ultimo del pensiero che attraversa quel corpo e superandolo proietta dinanzi a sé lo spazio del mondo che in sé contempla?