Lungo le strade del mistero

André Malraux, in uno dei suoi celebri aforismi, prediceva l’avvento di una nuova era caratterizzata dal ritorno del sentimento religioso, evocando in tal modo il bisogno dell’individuo di riporre nuovamente la propria fede in valori spirituali, dopo essersi a lungo abbandonato al culto della ricchezza materialistica e al desiderio incessante del possesso. Numerose fotografie di Giorgia Fiorio raccolte in questo libro mostrano soggetti palesemente, trasportati da un’ebbrezza interiore abbandonarsi interamente ad essa ed evocano esistenze ascetiche affrancate da ogni contingenza terrestre. Una forza di natura mistica o divina si è impossessata di questi soggetti e li ha trascinati verso un « aldilà », come se il loro pensiero avesse per un istante, quello della fotografia, abbandonato il corpo.

Cosa cerca Giorgia Fiorio impegnandosi in questo progetto che intitola « Il Dono » ?

Termine che riveste diversi significati, a cominciare dal principio della transitività : il dono non é soltanto ciò che l’essere umano offre, ma è anche una qualità che riceve in eredità. A chi ? Da chi ? Questo lavoro non risponde a queste domande e neanche è concepito come un’inchiesta sulle diverse manifestazioni della fede. È piuttosto testimone di un approccio (quello dell’autrice delle fotografie), circoscrive i contorni di un avventura conoscitiva che si basa su un bisogno di capire, descrivere e condividere. La fotografia sarebbe allora semplicemente considerata come un pretesto, al servizio di un’intenzione che la supera, di portata filosofica, se non addirittura metafisica ? Assolutamente no, poiché l’atto fotografico per quanto oggettivo non è mai imparziale ma partecipe di una scelta inerente allo sguardo rivolto sul reale (in particolare attraverso l’azione dell’inquadratura) e le immagini che ne risultano si schiudono in seguito a diverse interpretazioni. 

« Il Dono » non è soltanto la storia del soggetto che si offre all’atto fotografico, è anche quella di Giorgia Fiorio. Giorgia Fiorio riceve e restituisce. In questo movimento, nella natura e nelle qualità stesse del suo sguardo, nella sua maniera di materializzare le immagini, c’è aggiunta di significato, supplemento d’emozione, di anima, e lo spettatore della fotografia è invitato ad appropriarsene. Quest’ultimo rivive attraverso le immagini l’esperienza dell’autore oppure può interpretarle in tutt’altro modo.

Siano essi d’ispirazione religiosa o pagana, solitari o fortemente organizzati da un punto di vista sociale e culturale, voluti o subiti,  riti e cerimonie sono qui al crocevia del superamento fisico di sè stessi e della ricerca spirituale. In un primo tempo, l’ambizione di Giorgia Fiorio di fronte a questa realtà della quale essa non conosce necessariamente tutti i codici (come confrontata a una lingua che le è straniera), è quella di decriptare gesti e atteggiamenti dei soggetti. « Decriptare » va qui considerato nell’accezione più prossima al significato etimologico, cioè saper mettere in luce ciò che è « nascosto » e veicolatore di significato, tenendo presente che, nello stesso ordine d’idee, la fotografia è per definizione la scrittura della luce.

Martin Heidegger  scriveva che « la filosofia è un vicolo cieco ». Allo stesso modo, qui, il cammino percorso dall’autrice conta indubbiamente più dello sbocco. Ma nonostante ciò lo svolgimento del libro non è calcato sulla cronologia delle « missioni » successive a partire dalle quali il progetto ha preso corpo (in effetti, al termine reportage, la fotografa preferisce quello di « missione » che connota un impegno morale più forte), né tanto meno è elaborato sulla base di una logica dell’enumerazione. L’opera si fonda piuttosto su un principio sincretico che guida implicitamente Giorgia Fiorio nella sua progressione; ed è proprio di progressione che si tratta, in quanto ogni missione è portatrice di una luce nuova e promette la conferma di talune ipotesi.

Un passo indietro sui precedenti lavori di Giorgia Fiorio si rende necessario poiché « Il Dono » è nato da un’evoluzione, o più esattamente risponde ad una necessità: quella di nutrire e sviluppare incessantemente una ricerca personale, sia sul piano visivo che intellettuale. In precedenza Giorgia Fiorio si era consacrata per diversi anni a lavorare su comunità prettamente maschili, toreri, legionari, minatori, marinai ed altri ancora: uomini dalle vite segnate dal ricorso alla forza fisica, dall’esperienza dei proprî limiti, uomini spesso a contatto con la morte per le diverse prove che si trovano ad affrontare. Al termine di questo lavoro su queste comunità ha naturalmente preso forma il desiderio di estendere, in qualche sorta, lo sguardo aldilà di una realtà fisica, d’interessarsi ad altre forze, quelle dello spirito, alle manifestazioni della vita interiore. Impresa  paradossale per un fotografo: mostrare l’immagine di ciò che è astratto, tanto invisibile quanto indicibile. Giorgia Fiorio concentra quindi tutta la sua attenzione e la sua energia su questo nuovo obbiettivo adottando il metodo del fotografo del reale : circosrcrive un territorio – tanto geografico quanto antropologico – e gestisce il suo calendario per non mancare nessuno dei grandi riti o cerimonie ai quattro angoli della terra, che potrebbero arricchire il suo progetto superando ogni sorta d’ostacoli fisici e amministrativi. Ogni nuova missione ha lo scopo di registrare un avvenimento che ancora manca alla sua lista, ma questo non significa che Giorgia Fiorio aspiri all’esaustività né ancora meno che la sua opera sia motivata dall’esigenza dell’inventario, della classificazione. Non si tratta tanto di testimoniare una diversità quanto piuttosto di abbozzare i contorni di una ricerca universale.

Al temine del periplo che si conclude con la pubblicazione di questo libro, Giorgia Fiorio ha fissato i momenti particolari dell’esistenza nei quali l’essere umano cerca il senso della vita, una o la verità, così come una salvezza. Ma Giorgia Fiorio ha fatto di più: ha anche emesso l’ipotesi di un legame tra tutti questi momenti: un mistero comune che abita il corpo dei soggetti che essa fotografa. Che questo corpo, secondo il tipo di comunità religiosa o spirituale alla quale il soggetto appartiene, resti assolutamente immobile o tracci al contrario ogni sorta di gesti, sia esso ignorato, come trasparente, oppure oggetto di lacerazioni, se non addirittura di mutilazioni, che si animi di furiosi tremori o che ancora esprima la serenità, qui è proprio dell’espressione che si tratta, e sullo sfondo, di un linguaggio, del linguaggio. Il corpo che, nelle immagini della sua presenza spesso eccezionale, s’irradia oltre l’umano, è segno di per sé stesso oppure combinandosi ad altri. Dialoga con elementi della natura – l’acqua, il fuoco, la terra, la pietra – o l’acciaio degli strumenti che caratterizzano certi riti. S’iscrive nei paesaggi, cerca talvolta di fondersi a essi. Solo o associato ad altri, partecipa ad un movimento, sviluppa una sequenza della quale la fotografia fisserà un istante. Quest’ultima ce lo fa immaginare silenzioso oppure al contrario preso in un baccano assordante. « Il Dono » di Giorgia Fiorio è la narrazione di un confronto con tutti questi corpi che sono altrettanti segni, « frammenti di discorso » per riprendere un’espressione di Roland Barthes. Giorgia Fiorio non cerca di renderli più leggibili né di spiegarli, ci lascia liberi di seguirla sulle strade del loro mistero, oppure di comprenderli diversamente, guardarli come una forma pura, un improvviso dispiego d’energia, un lampo di luce.

 « Il Dono » è una domanda che Giorgia Fiorio pone all’uomo – nel senso generico del termine – altrettanto che a sé stessa, un approccio artistico del reale nel contempo oggettivo e soggettivo: perché in questo lavoro non c’è contenuto senza forma e viceversa. Le preoccupazioni visive s’intrecciano strettamente a quelle del pensiero. Questa fotografia risponde a un desiderio metodico d’investigazione ed è in questo senso strumentalizzata, certe immagini si rivelano quindi come insospettate illuminazioni sul soggetto. D’altro canto la tensione percepibile nelle scene fotografate trova spesso un prolungamento nella forma stessa dell’immagine, la composizione, le inquadrature, le prospettive, la luce che illumina i personaggi e i paesaggi, ed è una felice concordanza.

Più in generale, qualcosa nell’essenza stessa della fotografia aderisce alla natura del soggetto: la parola che serve a descrivere la particolarità dell’immagine fotografica non è quindi forse rivelazione? Nei riti e nelle cerimonie che fotografa, Giorgia Fiorio si prodiga a cogliere un fenomeno attinente al concetto del sorgere. Potrebbero essere quegli istanti in cui, secondo l’espressione dello psicanalista Jacques Lacan, « l’Es » parla. Dopotutto c’è del mistero nel fatto che un’immagine ci « parli » più di un’altra e questo mistero, non raggiunge forse quello delle scene di cui Giorgia Fiorio ci fa dono?

Gabriel Bauret, Lungo le strade del mistero, in Il dono, di Giorgia Fiorio, traduzione di Michela Sacco, Roma, Peliti Associati, 2009