{"id":410,"date":"2021-10-23T07:44:19","date_gmt":"2021-10-23T07:44:19","guid":{"rendered":"https:\/\/www.giorgiafiorio.com\/?p=410"},"modified":"2021-10-23T07:45:49","modified_gmt":"2021-10-23T07:45:49","slug":"figurae-2","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.giorgiafiorio.com\/figurae-2\/","title":{"rendered":"FIGUR\u00c6"},"content":{"rendered":"\n

Scandalosa, questa immersione in bianco e nero nei margini, nei bassifondi della nostra societ\u00e0 idolatra e narcisistica, che il glamour anestetizza e che il reale annebbia. Pi\u00f9 che disturbante, questa indagine: provocatoria e necessaria. Giudicate voi. Questa \u00e8 un\u2019epoca da divi, campioni e people<\/em>: ecco qui, invece, gruppi anonimi, volti sconosciuti, coreografie involontarie e senza \u00e9toile. Questa \u00e8 un\u2019epoca femminile, parla di uguaglianza e diversit\u00e0: ecco qui il maschile nudo e crudo, collettivi ruvidi e virili, ossi duri ben poco amabili. E questo \u00e8 doppiamente fuori tempo. Mai Helmut Newton avrebbe commesso una simile caduta di stile, nel bene o nel male. Astenersi paparazzi. Eccoci fuori dal contesto. Siamo al di qua. Al di sotto. Dentro luoghi in chiaroscuro, marginali e disprezzati, di cui le copertine delle nostre riviste non si nutrono e di cui i nostri giornalisti non si occupano: scantinati che le nostre societ\u00e0 del lusso hanno perso l\u2019abitudine di guardare, fino a dimenticarsi della loro esistenza. Mettendoci di fronte a gesti, espressioni e nudit\u00e0 talmente naturali che ci appaiono oscene, allenati come siamo al trucco e all\u2019artificio, Giorgia Fiorio recupera l\u2019angolo cieco del nostro campo visivo. E, forse, quello di una civilt\u00e0. Che cosa vediamo qui? Vediamo dei corpi. Ma non dei corpi oggetto. Nodosi, muscolosi, vischiosi, neri come il carbone. Corpi sorpresi al lavoro, in azione, mentre sudano. Non concepiti per l\u2019esibizione o lo spettacolo (tranne un torero in posizione da matador, di una bellezza enfatica e fin troppo eloquente).<\/p>\n\n\n\n

Noi tutti, in Occidente, viviamo in societ\u00e0 piene di protesi, algide e cosmetiche, che ignorano lo sforzo fisico, perch\u00e9 hanno dimenticato la trincea e l\u2019aratro, la guerra del fante e la fatica del contadino. Come ricordava recentemente uno storico del servizio militare, \u00abil maschio adulto francese di vent\u2019anni ha certo guadagnato una quindicina di centimetri, dal 1914, ma ha perso in massa muscolare, rusticit\u00e0 e resistenza\u00bb. Il nostro mondo urbano, troppo urbano, che tende ad abbandonare le officine per gli uffici e delega ai suoi immigrati la cazzuola e il martello pneumatico, si d\u00e0 al culto della forma e della messa in forma. Porta anche il nudo alle stelle, ma \u00e8 un nudo astratto e molto lavorato, anche se non lavora per niente. Vuole il corpo levigato, slanciato e pulito, il pi\u00f9 possibile seducente, dunque ritoccato e adattato a nuovi look. Erotico e plastico, estetizzante, perfino siliconato e plastificato. Nello sport d\u2019alto livello come nell\u2019esibizione dei culturisti, la telecamera coglie la performance finale, non l\u2019allenamento, il doping, la preparazione, da cui lo sguardo viene distolto pudicamente. Il corpo ideale per il nostro tempo \u00e8 bello come un fiore reciso adagiato su una carta lucida \u2014 inodore e gratuito, liberato dal suo humus di lacrime e sudore. Niente di tutto questo, qui. La carne ritrova la sua pesantezza e l\u2019incarnato la sua seriet\u00e0.<\/p>\n\n\n\n

C\u2019\u00e8 di peggio. L\u2019egolatria sfrenata che regna ai nostri giorni colloca il corpo guerriero, sportivo o desiderabile, su un piedistallo, ma a una condizione: che la sua gloria sia solitaria e nominativa. Che faccia risplendere un nome proprio, una celebrit\u00e0, un mostro sacro. Qui, invece, niente campioni, nessun eroe e nemmeno podi. Il gruppo \u00e8 la sua propria allegoria. Scansando idoli e icone, non imponendo nessuna polena, nessun leader o vedette<\/em> riconoscibile, emergono sotto i nostri occhi corpi multindividuali. Figure collettive senza testa, in cui lo spirito del corpo fa di ciascuno il gemello del proprio vicino, suo simile e suo fratello. Ecco portata alla luce, in tutta spudoratezza, una zona d\u2019ombra silenziosa, arcaica se si vuole, che preesiste al nostro culto per i ricchi e famosi e precede anche la grande frantumazione moderna. In queste promiscuit\u00e0, dove la distanza interpersonale \u2014 l\u2019intervallo codificato e conveniente fra due individui – non \u00e8 pi\u00f9 rispettata. Aggregati primitivi, molecole ad atomi compatti, senza gerarchia, n\u00e9 protocollo, strane coagulazioni plastiche, in cui si srotola al contrario la grande narrazione della modernit\u00e0, che ci racconta come si sia liberata, a forza, la persona dalle pastoie collettive, come da una fatidica opaca colla si estragga una sovranit\u00e0. I nostri metafisici della libert\u00e0 non sono quelli dello spirito del corpo, come viene qui restituito dalla crudezza di uno sguardo al limite dello sconveniente. Quindi, un certo imbarazzo, non troppo lontano dal malessere. Non sappiamo pi\u00f9 bene in che cosa consista un\u2019appartenenza, in che modo si produca l\u2019intreccio di un noi,<\/em> che non \u00e8 \u2014 ed \u00e8 ben lontano dall\u2019esserlo \u2014 il plurale di un io<\/em>. Valutiamo ci\u00f2 che l\u2019egocentrismo e l\u2019autocompiacimento occidentale ci hanno fatto perdere di vista, e da dove viene il nostro smarrimento di fronte al ritorno a livello planetario di trib\u00f9 ed etnie. Il grande affaccendarsi comunitario che agita i continenti \u2014 tranne l\u2019Europa \u2014 ci prende alle spalle dopo due secoli di separatismo, e noi strilliamo come aquile davanti al semplice richiamo della pi\u00f9 ordinaria, la pi\u00f9 immemorabile delle condizioni: il gomito a gomito, il corpo a corpo disciplinare. <\/p>\n\n\n\n

Eccolo ancora pi\u00f9 disturbato, il nostro contemporaneo, che i riflettori ingannano a forza di abbagliare, e cos\u00ec perde l\u2019aiuto delle migliori fra le nostre mitologie. Monaci in cocolla di panno grezzo e cappuccio bianco, soldati con le sciabole sguainate, in pantaloni rossi e pennacchio…Giorgia Fiorio non ha messo in scena i grandi corpi devoti dello Stato di diritto e della Chiesa di Cristo, gli Ordini dalla sublime sobriet\u00e0, le Accademie ricamate d\u2019oro, le Magistrature in porpora ed ermellino, bens\u00ec basse caste operose. Lavoratori del mare e del fuoco, della miniera, del ring e dell\u2019arena, sobriamente professionali, senza alcun prestigio, senza nemmeno l\u2019aura delle gang e delle mafie, soggetti come sono a umili funzioni produttive per distrarci, proteggerci o alimentarci.<\/p>\n\n\n\n

Queste corporazioni, di solito costituite, non sono gli sventurati americani degli anni bui, quelli di Walker Evans e Dorotea Lange. Non sono nemmeno i monelli sfrontati, i carbonai e i venditori di palloncini dei faubourg di Parigi, alla Doisneau. Non sono poetici, n\u00e9 pittoreschi. Tra la folla e la banda, tra la \u00abvile moltitudine\u00bb e il sale della terra: questi domini segreti non abbandonano l\u2019ordinario. Da qui, uno sguardo neutro, un lirismo freddo, che non prende le distanze dal suo oggetto, ma non cerca neppure di stregarlo o sedurlo in nome di una connivenza razziale, etnica o messianica – ein Volk<\/em> o classe eletta. La foto non canta la rabbia, la guerra, n\u00e9 l\u2019odio. Non \u00e8 al servizio di nessuna causa con l\u2019iniziale maiuscola. Non magnifica e non svaluta. Non \u00e8 lo sguardo affascinato, da proselita, di Leni Riefenstal, che esalta il Trionfo della Volont\u00e0 sublimando con riprese dal basso i magnifici dei dello stadio, accademie iperboliche e dimostrative. N\u00e9 la propaganda sovietica dei tempi d\u2019oro, che inquadra gli atletici reparti d\u2019avanguardia della classe operaia mentre sfilano sulla Piazza Rossa ai piedi del Politburo, risucchiati dall\u2019avvenire radioso. Lo sguardo non \u00e8 sprezzante, n\u00e9 aristocraticamente disgustato. Definiamolo post politico. N\u00e9 patriota, n\u00e9 militante. Da voyeur? No. Semplicemente rispettoso. Sebbene, forse, ammirato. Ci\u00f2 che potrebbe passare per un elogio, se non proprio della forza, almeno della fraternit\u00e0 virile, ai giorni nostri ci voleva una donna per osarlo. Per forzare la porta, in modo indiscreto, di tutti questi maschi riuniti fra loro. I gender studies<\/em> avrebbero potuto prendere in mano la questione e le femministe lamentarsi contro l\u2019autore, contro l\u2019autrice. Queste foto di famiglia senza madri, sorelle e spose, se fossero state fatte da un compare, sarebbero virate in un\u2019arringa pro domo sua<\/em>, macista e fascistoide. Questo arma virumque cano<\/em> qui non \u00e8 opportuno, tanto pi\u00f9 che non ci mostra n\u00e9 armi, n\u00e9 eroi in armi, ma piuttosto minatori e schiene sudate. Ci \u00e8 voluta una certa faccia tosta, nonostante tutto, per alzare le vele su mestieri, vocazioni e recinti dove la femminilit\u00e0 non ha posto \u2014 la Legione straniera \u00e8 ancora uno di questi, in seno a un esercito che mette all\u2019ordine del giorno la femminilizzazione dei suoi quadri.<\/p>\n\n\n\n

Ciascuno sa che, in materia di perseveranza, resistenza, obbedienza e padronanza di s\u00e9, le donne possono tenere testa a chiunque. La forza fisica non \u00e8 la causa della loro segregazione millenaria, non pi\u00f9 delle abitudini di un sesso di cui si dice che \u00e8 debole solo per antifrasi, per illudersi. \u00c8 semplicemente un tratto culturale, risalente a tempi molto antichi, e Giovanna d\u2019Arco \u00e8 l\u2019eccezione che conferma la regola. L\u2019essere che d\u00e0 la vita non \u00e8 fatto per infliggere la morte agli animali e tanto meno agli uomini. Niente donne nei mattatoi, fra i boia e gli scannatoli autorizzati. Assistere, s\u00ec; massacrare, no.<\/p>\n\n\n\n

Questa divisione dei compiti in seno alla Citt\u00e0, fra la medicina e l\u2019omicidio, l\u2019infermeria e il massacro, risale alla preistoria. La raccolta di bacche e tuberi da una parte, la caccia grossa dall\u2019altra. E nei nostri eserciti e nelle nostre gendarmerie le donne non fanno parte dei gruppi di assalto e non partecipano ai raid. Non \u00e8 una questione di capacit\u00e0, anche se gli ormoni sono differenti; la faccenda \u00e8 innanzitutto di ordine simbolico. Ci sono vedove di guerra, vedove di pompieri che si sono sacrificati, vedove di pescatori morti in mare e di toreri sventrati. In questi campi ad alto rischio, il vedovo non \u00e8 conveniente, e rimane molto improbabile. Giorgia Fiorio ne prende atto, sobriamente, e senza pathos, e di quest\u2019analisi oggettiva, non proprio alla moda e forse politicamente scorretta, bisogna ringraziarla. Non \u00e8 cos\u00ec frequente captare attorno a noi, e con un\u2019arte cos\u00ec ben padroneggiata, l\u2019ombra che la preistoria allunga sulla nostra modernit\u00e0, quando tutto ci spinge a dimenticare i fondamentali indelebili del vivere \u2014 e dell\u2019operare \u2014 insieme.<\/p>\n\n\n\n

(traduzione di Gian Luca Favetto)<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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